Aperitivo in sede a tema "Francia".
Ospite uno degli autori del libro "la Frontiera contesa" edito da Casagrande, che svela i progetti di attacco della Svizzera all'Italia tra il 1870 e il 1918. Copio e incollo una parte della prefazione di Sergio Romano:
Agli inizi del Novecento il Consiglio federale svizzero chiese al Maggiore Arnold Keller uno studio sulla “Geografia militare della Svizzera e i suoi territori di frontiera”. Rimasti a lungo segreti negli Archivi Federali di Berna, i 34 volumi dell’opera di Keller non sono soltanto un lavoro ineccepibile, scritto da uno scrupoloso geografo militare di grande talento. Sono anche, a dispetto della loro apparente neutralità tecnica, lo specchio delle preoccupazioni e delle riflessioni strategiche che dominavano il dibattito politico militare nella Svizzera di quegli anni. Il lettore non può fare meno di notare, per esempio, che una delle parti più lunghe e particolareggiate è quella dedicata al Ticino e al suo confine con l’Italia: quasi duecento pagine riprodotte nella seconda parte di questo libro, in cui Keller ha meticolosamente registrato e descritto tutto ciò che occorre sapere per combattere una guerra di offesa o difesa nel cantone e nelle province italiane al di là del confine.
Ancora prima di addentrarci nell’opera, quindi, abbiamo capito che l’ipotesi di un conflitto con l’Italia è considerata e discussa a Berna con grande serietà. Nel lungo saggio di Binaghi e Sala che precede il testo di Keller il lettore troverà i protagonisti di questo dibattito, le loro tesi spesso contrastanti, il loro ruolo nella vita politica del tempo, le reazioni dei partiti e della stampa, il modo in cui tutto questo incide sul concetto di neutralità. Siamo quindi di fronte a a un problema che oltrepassa i limiti dei rapporti italo-svizzeri e concerne la natura e il destino della Confederazione.
Per cercare di comprenderne il’importanza conviene tornare al 1848, l’anno da cui decorre la storia della Svizzera moderna.
In Francia, Belgio, Italia, Germania, Austria, Ungheria e Boemia i moti del 1848 presentano una evidente somiglianza. I motivi delle agitazioni sono diversi, ma il risultato finale, nei decenni seguenti, sarà uno Stato nuovo, fondato sul principio della nazionalità e su un consenso che può essere, a seconda delle circostanze, spontaneo o manipolato, ma è sempre necessario.
E’ uno Stato in cui i sovrani, quando non vengono estromessi dai loro reami, regnano “per grazia di Dio e volontà della nazione”, dove i parlamenti vengono eletti più o meno liberamente da una parte crescente della popolazione, dove i governanti provengono spesso dalla borghesia o da quei settori dell’aristocrazia che hanno meglio interpretato gli effetti della rivoluzione industriale, e dove il cemento della società nazionale è rappresentato, almeno teoricamente, dall’esistenza di un comune patrimonio linguistico, culturale e spirituale. Il ’48 della Svizzera, invece, è alquanto diverso.
Anziché cominciare con moti di piazza e con barricate in cui fa la sua apparizione una folla composta da operai, artigiani, commercianti e rappresentanti delle professioni liberali, il dramma svizzero comincia con una guerra civile che sembra essere una replica tardiva delle guerre di religione dei secoli precedenti.